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Antichi giochi greci

I Greci assegnavano ai giochi dei fanciulli, e quindi ai giocattoli un grande valore educativo, nonché religioso. Ciò spiega perché molti giocattoli ellenici siano veri e propri capolavori decorati da artisti celebri. Numerosi scrittori e poeti scrissero sui giochi: Cratete compose una commedia, purtroppo perduta, della quale conosciamo solo il titolo: “Paidai” che significa “Giochi infantili”. Durante le feste Antesterie, che duravano tre giorni, i bambini piccoli venivano “decorati” con ghirlande e ricevevano in dono dai genitori dei choes, cioè boccali, con raffigurazioni di giocattoli. I Greci praticavano un gioco noto anche agli Egiziani ed ai Romani: nascondevano in una mano un certo numero di noci, sassi, o mandorle, ed il compagno doveva indovinare se il numero fosse pari o dispari. 

Quello che segue e' un articolo tratto dal libro "Giochi e giocattoli nell'antichità" di Marco Fittà

Sono stati rinvenuti in alcuni siti archeologici molti tavolieri da gioco anche se quasi sempre riferiscono a giochi a noi sconosciuti: a Epidauro ne sono state rinvenute varie , sia in legno sia in pietra, di grandi dimensioni (115 x 60 cm) risalenti al IV secolo a.C. Probabilmente erano consacrate a Esculapio, e forse servivano ai malati, ospiti dell'asklepiéion, per passare il tempo in attesa della guarigione. 

I giochi greci da tavolo erano conosciuti già in età omerica; Odisseo. al suo rientro a Itaca, "trovò i pretendenti superbi: essi allora giocando con le pedine, davanti alla porta, si divertivano". Euripide scrive: "Protesilao e Palamede ... si dilettavano colle molteplici figure dei pezzi al gioco del tavoliere".

Gli autori antichi hanno attribuito a Palamede, oltre all'invenzione dei dadi, anche quella dei giochi con le pedine e il lessico Suida spiega diversamente il gioco inventato da Palamede: "In questo gioco, poi, vi è una tavola del mondo terrestre. Dodici linee, il cerchio dello zodiaco. Il bossolo per i dadi e in esso sette dadi, sette stelle dei pianeti".

In un periodo successivo, osserviamo come il termine petteìa significhi l'insieme dei giochi con le pedine, prototipo, quindi, dei giochi di riflessione, chiamati anche grammai: pessòs, in linea generale, significa, infatti, sassolino e, quindi, pedina; petteìa o pesseìa indica l'insieme delle pedine e, in senso traslato, la tavola, segnata - in modo diverso a seconda dei giochi - da linee che disegnano varie forme.

Successivamente, con petteìa si indicarono i giochi da tavolo in cui occorreva bravura, e ancora più precisamente i giochi di guerra; con il termine kubeìa, invece, si indicarono i giochi da tavolo con i dadi - e, quindi, d'azzardo - o i giochi "di corsa".
Sotto il nome generico di Petteia conosciamo tre giochi: il primo è il Pentagramma, il secondo venne chiamato "Gioco della Città" e il terzo Diagrammismòs.

Testimonianze archeologiche di giocatori greci intenti a disputare partite con le pedine, senza peraltro illuminarci sul tipo di gioco specifico, ci sono giunte in gran numero e hanno la particolarità di essere pressoché identiche tra loro. Vediamo infatti moltissimi vasi dove sono raffigurati due guerrieri, quasi sempre identificati in Achille e Aiace, uno di fronte all'altro; nel centro un basamento sul quale appaiono distintamente le pedine". Una variante consiste nella presenza di Atena che è raffigurata in piedi, al centro e davanti i due giocatori o dietro al tavolo. E curioso notare come nelle rappresentazioni di quest'ultimo tipo i pittori abbiano tralasciato di evidenziare le pedine disegnando il tavolo così da vedere l'area del piano. In un vaso della collezione Castellani, nei Musei Capitolini di Roma, una grande palma, simbolo della vittoria, prende il posto della dea. 
Un altro termine usato dagli autori greci è plinthìon, che in alcune accezioni indica un "basamento" che potrebbe essere il "tavolo" sul quale si gioca; ad esempio se si tira ai dadi è sufficiente usare il plinthìon, se si gioca con le pedine si può mettere la tavola da gioco - petteìa - sul plinthìon o sulle ginocchia dei due giocatori, come ci è testimoniato da numerosi rinvenimenti, e da qui, forse, l'abitudine di usare ambedue le parole come sinonimi. Queste distinzioni linguistiche non sempre sono seguite dagli stessi autori antichi. Infatti, il "gioco della Città", Polis, viene chiamato petteìa da Aristotele in un passo dove confronta gli uomini senza città, apolis, con gli azuk che sono invece esposti alla cattura; successivamente Io stesso termine sarà usato per indicare il "gioco del Tavoliere".


GIOCHI ATLETICI


I più famosi tra i giochi greci furono sicuramente le olimpiadi che vennero inaugurate nel 776 a.C. e si svolgevano ogni quattro anni. Inizialmente le olimpiadi erano solo per i popoli greci che, in questa occasione, si sentivano uniti nonostante le continue lotte tra polis. Le gare si svolgevano ad Olimpia, ed era in questa città dove, per 5 giorni, i greci si dedicavano interamente alle gare più importanti, queste erano divise per giorni: il primo con cerimonie religiose, il secondo con le corse dei carri, il pentathlon ed altre specialità con i cavalli, il terzo con onoranze a Zeus e con le corse a piedi , il quarto con gare pesanti (lotta, pugilato, pancrazio) e infine il quinto giorno con cerimonie varie .
Come in tutte le gare erano diversi i luoghi in cui si svolgevano le varie attività ; tra i più importanti vi erano le piscine, le palestre, gli ippodromi, gli stadi dove gli atleti si potevano muovere a loro agio e dove potevano dare il meglio di sé, e, inoltre, i riti e le cerimonie d’apertura dei giochi si svolgevano presso altari e templi dedicati ai diversi dei.


CORSE CON I CAVALLI: queste potevano essere di vari tipi: corse con bighe tirate da due cavalli o da uno solo, corse con i fantini in groppa al cavallo ecc. Questa specialità di gioco era molto diffusa nelle Olimpiadi in Grecia.
PENTATHLON: era articolato in 5 specialità: lancio del disco, salto in lungo, lancio del giavellotto, corsa e lotta. Venivano apprezzate molto le qualità dell’atleta che in occasione di queste gare poteva veramente farsi notare e distinguersi.
CORSE A PIEDI: queste erano le gare in cui si notava la capacità di resistenza e velocità di un atleta; infatti vi erano gare di 200 - 400 - 5000 metri per le diverse specialità. Queste gare erano ad eliminazione e i vincitori partecipavano a feste che si svolgevano solo per i migliori atleti .
LA LOTTA: la lotta era divisa in tre specialità: il pugilato, la lotta e il pancrazio, una variante del judo, un misto tra lotta e pugilato. Nelle lotte vinceva chi atterrava per tre volte l’avversario. Nella lotta la morte era un rischio considerato e riconosciuto; la legge non riteneva omicidio gli incidenti fatali.
GIOCHI GLADIATORI: questi giochi prendono il loro nome dai gladiatori i quali usavano il gladio, una specie di piccola spada. Il combattimento in genere era tra due persone, due coppie o tra schiere di gladiatori. Il vinto era nelle mani del pubblico, il quale decideva se il vinto dovesse morire o vivere, attraverso un movimento del pollice volto in su o in giù. Inoltre c’erano anche lotte tra gladiatori e belve feroci oppure solo tra belve. A causa di queste lotte però nel periodo Romano si ebbe un’estinzione di molte belve feroci.
BATTAGLIA NAVALE: questa si svolgeva nell’anfiteatro riempiendo l’arena di acqua, permettendo così a delle navi di poter tranquillamente simulare la navigazione e di svolgere una vera e propria battaglia per divertire il pubblico. 


PENTAGRAMMA

Questo gioco deriva il suo nome dal fatto che ciascuno dei due avversari disponeva cinque pedine su cinque linee; una linea, detta sacra, divideva i due gruppi.

Lo menzionano Alceo e Teocrito: "Fugge chi l'ama e segue chi non l'ama / e sposta la pietruzza dalla riga", frase proverbiale, poiché il giocatore al pentagramma oltrepassava la linea sacra solo quando era sul punto di perdere e, quindi, doveva giocare il tutto per tutto.

Vinceva chi si impadroniva di tutte le pedine dell'avversario; bisognava quindi separare un pezzo avversario dagli altri e in qualche modo bloccarlo. I giocatori potevano muovere le loro pedine nella direzione più conveniente al fine di circondare e bloccare quelle dell'avversario: "Come nel gioco della petteìa gli inesperti alla fine si lasciano chiudere dai bravi giocatori e non sanno che mossa fare".

Al di là di queste notizie non sappiamo come si giocasse, anche se sembra che da questo gioco derivi il duodecim scripta romano. Una dimostrazione convincente ci deriva da un kyathos attico a figure nere, che raffigura una tavola con pedine molto simile al gioco d'azzardo romano delle "dodici linee" e ancor più al "gioco del tavoliere" del quale parleremo più avanti.


IL GIOCO DELLA CITTA'

In Grecia, il gioco della Città veniva praticato già nel V secolo a.C. e rimase in auge fino al II secolo d.C. circa. Si giocava su una tavola delimitata da linee che formavano caselle chiamate "città", con trenta pedine chiamate kua, quindici per ciascun giocatore, distinte dal diverso colore.

Platone, riferendosi agli "stati" della Grecia, scrive: "Ciascuno di essi è costituito da numerosissime città, non di una sola, come nel noto gioco".

Un gruppo di terracotta mostra un uomo e una donna che tengono sulle ginocchia una tavola da gioco composta da quarantadue caselle. Si può vedere la disposizione delle pedine: alcune sono all'interno delle "case", altre sulle linee che le delimitano, in tutto dodici: la partita dovrebbe essere già alle battute finali.

È indubbiamente un gioco di strategia e a questo sembra ispirarsi un anonimo nell'Antologia palatina: "L'ossa tue lavorate cangiarsi dovevano in pezzi / del gioco in guerra nato, Palamede. / Eri in guerra e fu lì che inventasti una guerra novella / in un campo di legno amica guerra". Non ci sono dubbi che i romani si siano ispirati a questo gioco, anche se forse con alcune varianti, per il loro ludus latrunculorum.


DIAGRAMMISMOS


Di questo gioco parla Polluce, che lo definisce analogo al "gioco della Città" , ma disputato con sessanta pedine, trenta per parte. Eustazio illustrando il diagrammismnòs cita l'uso dei dadi e ciò ne mette in discussione l'inserimento tra i giochi di riflessione. Noi siamo più propensi a dare fiducia a Polluce, poiché, nella descrizione dei vari giochi all'interno del suo Onomasticon, non fa mai menzione dell'uso dei dadi, come se il suo trattato fosse rivolto solo ai giochi di riflessione.

Rimane però l'incertezza sulla natura esatta del diagrammismòs. Se avesse ragione Polluce, da questo gioco potrebbe essere derivato il ludus latrunculorum romano, dove non si utilizzano dadi; se invece si accetta la testimonianza di Eustazio, allora dal gioco greco deriverebbe il romano duodecim scripta, che per l'avanzamento delle pedine utilizza i dadi.


AKINE TINDA: 

Era un gioco in cui occorreva stare immobili sopportando le spinte degli avversari. Polluce non parla di spinte, ma solo di resistere senza muoversi. Potrebbe corrispondere al nostro gioco delle “Belle statuine”. 


COCCIO 

I ragazzi si ripartivano in due gruppi divisi da una linea tracciata sul terreno: una squadra si posizionava dalla parte in cui sorge il sole e l’altra dalla parte opposta. Una di loro lanciava una conchiglia o un coccio tinto di nero da una parte (detta nux) e di bianco dall’altra (detta emera) gridando: “giorno o notte”. Se la conchiglia cadeva dalla parte bianca l’altra fazione inseguiva gli avversari che non dovevano farsi prendere. Chi veniva preso era oltraggiato dai suoi compagni. 


GIOCO DELLA PENTOLA O KUTRINDA 

Uno dei giocatori era detto “pentola o marmitta” e sedeva in mezzo ai compagni che lo colpivano sulla schiena o sul capo girando intorno a lui finchè non riusciva, voltandosi, ad individuare e prendere l’autore dei colpi che a sua volta doveva fare da “pentola”. Vi erano poi alcuni giochi utili per affinare l’intelligenza dei ragazzi come quando essi gareggiavano tra loro ponendosi vicendevoli domande su piccoli problemi di ogni giorno. 


ROCCHETTI (YO-YO)

Per gli archeologi i rocchetti sono tra i giocattoli più preziosi poichè celebri vasai come i pittori Pistoxenos e Pentesilea li decorano con scene mitologiche ispirate alla vita quotidiana. 

I rocchetti erano composti da due dischi piatti uniti al centro da un piccolo ponte cilindrico. Fissato un filo al ponte e arrotolato tutt’intorno, occorreva, trattenendo un’estremità, lasciarlo svolgere tutto ma, un attimo prima del termine della corsa, dando un abile colpo, riavvolgere lo spago al suo ponte, in senso opposto facendolo risalire verso l’alto. Venivano usati come giocattoli anche i poppatoi che dovevano, oltre che attirare l’attenzione mediante forme avvincenti (spesso animali soprattutto cagnolini e m aialini) anche con colori vivaci e con il rumore che, terminata la poppata gli stessi facevano: infatti, si inseriva al loro interno una pallina o un sassolino. 


GIOCO DEL CERCHIO 


Orazio conferisce la paternità del cerchio ai Greci. Non ci e' pervenuto alcun esemplare di cerchio, ma, secondo un’antica norma i cerchi dovevano arrivare all’altezza dei fianchi dei fanciulli. Normalmente erano in bronzo, ma quelli più economici non erano altro che cerchioni di una ruota di carro. Poiché per i bambini il gioco è tanto più bello quanto più è rumoroso si pensò di inserire nel cerchio grande altri cerchietti metallici più piccoli che, girando il cerchio, urtassero tra loro e anche sul selciato producendo un rumore assordante.

 Esistevano presso i Greci tre giochi, quello dell’ “ippòs”, quello del “en Kotùle e quello dello “ephedrìsmòs” in tutti un ragazzo o una ragazza sta sulle spalle di un compagno (a cavalluccio ). L’ephedrìsmòs che è dipinto in moltissimi vasi, anfore e crateri, si giocava a squadre: il ragazzo che tiene il compagno sulle spalle è bendato ed un terzo guida l’amico indirizzandolo verso una pietra, ritta in piedi, da colpire. 


LE BAMBOLE IN GRECIA 

Le più antiche provengono dalla Beozia e risalgono alla seconda metà del VIII° secolo a.C. Il loro corpo è a forma di campana, frequentemente decorata con disegni geometrici accompagnati da figurazioni di animali (spesso pesci e uccelli). Gli artigiani costruttori di bambole in argilla erano chiamati coroplasti. La creta era un materiale frequentemente usato perché poco costoso, facilmente reperibile e che poteva essere decorato o dipinto in modo da rendere l’oggetto più realistico e attraente . La testa della bambola era spesso ornata da una corona, da un diadema e da ghirlande. Quelle più perfezionate avevano gambe e braccia snodabili, grazie a perni o fili di ferro passanti attraverso fori praticati negli arti. 

La ricerca di maggiore realismo indusse gli artigiani ad usare anche il legno, l’osso e l’avorio e a perfezionare il movimento snodando anche gomiti e ginocchia. Si possono distinguere due tipologie che fanno pensare a queste bambole come uscite da manifatture in serie. Le prime sono caratterizzate da capelli trattenuti da un alto copricapo detto “kolathos” indossano un chitone, tunichetta lunga fino ai fianchi, dove un perno passante permette la mobilità delle gambe. Le seconde raffigurano smilze giovinette con i capelli liberamente acconciati con un nastro; si differenziano per le giunture delle gambe, spostate più in basso verso il ginocchio, sempre rese possibili dall’impiego di perni metallici o fili passanti. Tali bambole venivano vendute nei mercati. 


COTTABO

Era un gioco da salotto che si svolgeva durante i banchetti: consisteva nel colpire, con il vino rimasto sul fondo della coppa, un piatto fissato ad un’asta pronunciando il nome della persona amata. Se il gioco riusciva c’erano buone probabilità di successo nella seduzione amorosa. Anche in Grecia, come a Roma, erano diffusissimi, presso tutte le classi sociali, gli astragali. Il gioco più famoso era il “PENTELITHA” praticato soprattutto dalle ragazze. Si eseguiva come dice il nome con cinque astragali, pietruzze o sassolini che si mettevano sul palmo della mano, si lanciavano verso l’alto e con una rapida rotazione bisognava prenderli tutti cinque sul dorso della mano destra. Se ne cadeva qualcuno bisognava prenderli con le dita senza far cadere quelli già presi. 


GIOCHI D’AZZARDO

 In tutte le epoche e civiltà era stato vietato il gioco d’azzardo. Plutarco lo proibì e consigliò, per passare il tempo, di giocare alla “ PETTEIA”. I giochi d’azzardo erano numerosissimi, ma il più popolare era quello dei dadi. Sull’invenzione dei dadi, non si sa nulla, Platone lo attribuisce al Dio Thet, secondo Pausina l’inventore fu Palomede, un guerriero famoso per la sua intelligenza. Avevano sei facce, ognuna delle quali recava delle lettere. Vi erano dadi con sole quattro facce che sono la derivazione degli astragali, e sono stati ritrovati anche dadi che avevano lo stesso numero su due facce diverse. C’erano anche dadi figurati : famose le due coppie d’uomini seduti con punti segnati sulla schiena, l’addome, le braccia. Nel mese di dicembre, era permesso il gioco d’azzardo, in occasione dei Saturnali. Due mosaici provenienti da Daphne, in Antiochia, risalenti al 450 d.C. rappresentano due uomini seduti davanti a un tavolo sul quale è appoggiata una scacchiera; il giocatore di destra sta mettendo i dadi nella turricula posta su un lato del tavolo, un bussolotto molto particolare che serviva come contenitore di dadi. Costruito in ambra, del diametro di 5,6 cm, ha l’incavo mascherato da una piastra semovente per non far scoprire i piccoli dadi contenuti all’interno e, tenuto tra pollice e indice, funge appunto da bussolotto. Come per tutti i giochi d’azzardo, il vizio di barare fu una prerogativa costante dei dadi. Molti i sistemi usati : dal più semplice come leggere i punti alzandone o abbassandone il valore uscito secondo la propria convenienza, ai più sofisticati e complessi. Generalmente si giocava con tre dadi di terracotta le cui sei facce erano contrassegnate da una lettera. Il “colpo di Afrodite” era il tiro migliore in assoluto (cioè tre volte sei) mentre il colpo peggiore era il “colpo da cane” (tre volte uno). In Grecia c’erano perfino luoghi per giocare: il tempio di Atena Skira, da cui deriva la parola “SKIRAFEIA” , per indicare il ritrovo degli appassionati dell’azzardo, il secondo si trovava a Corinto presso la fontana di Pirene. 


I GIOCHI DEI GESTI COMANDATI 

Veniva fatto ai banchetti. Un re o una regina veniva eletto e doveva fare dei gesti che tutti dovevano imitare. Al primo che sbagliava venivano inflitte pene severissime tra cui danzare nudo e imprecare contro se stesso. 


IL GIOCO DELL’ASKOLIASMOS 

Era un gioco molto popolare che consisteva nel ballare con un piede solo, su un otre fatto di pelle di caprone unta e piena di vino. Chi stava in piedi per più tempo, vinceva l’otre .


I CARRETTINI 

Come si mettevano le ruote agli animali giocattolo , cosi esistevano i veri carrettini a una, due, tre o quattro ruote. I più diffusi erano formati da una semplice asta alla quale venivano fissate due ruote. Questo genere di carrettino è chiaramente illustrato in una pittura vascolare proveniente dalla Magna Grecia in cui è raffigurato Eros con la madre Afrodite. Tra i carrettini c’è né uno molto elementare che anche i ragazzi riuscivano a fabbricarlo da soli utilizzando un bastone con una delle due estremità a forma di forcella, alla quale veniva fissata una sola ruota, questo gioco non consisteva nel portarsi solamente in giro il carrettino, ma, facevano delle gare di carrettino, questo gioco, i Greci lo chiamavano amaxis . I bambini della Antica Grecia, si divertivano con dei carretti, caricando un grosso grappolo d’uva e trasportandolo. C’erano molte diversità nella costruzione dei carretti. In un oinochoè, attiche conservate nel Allard Pierson Museum di Amsterdam, è raffigurato un carretto per portare un piccolo carico, e al British Museum di Londra, si può vedere un carretto adatto nel trasporti merci. Qualche padre o un abile artigiano, invece, fu in grado di costruire, per il trastullo dei propri e altri ragazzi , veri propri modellini molto simili a quelli utilizzati dagli aurighi per le corse circensi.