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Impariamo un gioco nuovo

 GO

Un po’ di storia…
Vaghe sono le informazioni disponibili sulle origini del gioco del go in quanto, per svariato tempo, le sue regole ed i suoi principi furono tramandati esclusivamente per via orale. Di certo è possibile affermare che tale sistema di regole, del tutto semplice (riconducibile a principi primordiali, basti pensare alla caccia ed alla cattura di animali selvatici, ad esempio), consente di definirlo tra i più antichi e primordiali sistemi di gioco. Azzardare una datazione più precisa sarebbe inutile, anche se alcuni situano la nascita del gioco a circa 4.000 anni fa, in base alla leggenda secondo cui Yao, imperatore semi-mitico del XXIII secolo avanti Cristo, inventò il go per istruire il figlio Dan Zhu. Lo sviluppo del sistema di regole, variato poco nel corso del tempo, ha dato corpo al gioco vero e proprio, sembrerebbero svilupparsi originariamente in Tibet ma consolidatosi in Cina, dove vi fu la sua maggiore diffusione e dove il gioco prese il nome di weiqi.
Confucio (551-479) lo considera giusto un gradino sopra la totale passività, il far niente. Mencio (372-289), nel capitolo undicesimo del Mengzi, definisce il weiqi "una piccola arte", subalterna alle arti vere e proprie. Fondamentale è il testo Qijing Shisanpian, scritto da Zhang Ni durante il periodo Huangyou (1049-1054) della dinastia Song (960-1279), durante la quale il gioco viene pienamente accettato, dimenticando le vecchie accuse di "amoralità".
Soltanto durante la Rivoluzione Culturale di Mao, il weiqi fu nuovamente messo al bando perché promuoveva "ideee feudali". Dal 1966 al 1978 non si pubblicarono riviste dedicate al weiqi, mentre i campionati nazionali non furono indetti dal 1966 al 1974.
Il gioco del go fu successivamente esportato in Corea (dove il nome è baduk), mentre nell'VIII secolo un ambasciatore giapponese lo introdusse nel suo paese, dove ebbe una larga diffusione.
Per quel che riguarda l'Occidente, la prima menzione è fatta dall'italiano Matteo Ricci (1552-1610), missionario in Cina. Ma il gioco rimane di fatto sconosciuto sino al XIX secolo, quando l'emigrazione cinese negli Stati Uniti favorisce la diffusione del go in quel paese. Successivamente nascono gruppi di estimatori anche in Europa e particolarmente in Olanda, Germania ed Austria. La natura puramente ludica del gioco, probabilmente, può far sottovalutare l'importanza che esso ha rivestito nella società cinese, ma molte personalità politico-religiose del tempo, come Confucio o Mencio, si occuparono di stabilire se, e come, la pratica del gioco fosse deleteria, o utile, per il popolo (applicando la propria dottrina al fine ultimo del gioco).
Per questo motivo il gioco del go ebbe periodi di intenso sviluppo, in cui alta fu la sua diffusione tra tutte le fasce di popolazione, alternati a periodi di intensa crisi e persecuzione, in cui fu la pratica fu bandita delimitata ad un ristretto numero di persone, solitamente l'élite dello stato, le classi colte: imperatori, generali, filosofi, monaci, alti dignitari, grandi guerrieri.
In Giappone, il go si afferma come gioco dell'aristocrazia, la classe bushi in particolare, che vede in esso più che un gioco un'arte marziale, un dou, ossia una via di perfezionamento e di disciplina interiore (Zhang Ni mostra il weiqi come un dao, "sebbene piccolo"). Con l'affermarsi dello shogunato di Tokugawa Ieyasu (1542-1616), anch'esso accanito giocatore, vengono poi fondate delle Accademie di go nelle quali viene sviluppata e consolidata la teoria del gioco che si diffonderà, nel successivo periodo Edo (1600-1867), in tutte le classi sociali. Comunque, pur essendo molto praticato, è visto anche oggi un po' come gioco d'elite.
Quattro sono le scuole "storiche" in Giappone, rivali da sempre - Honimbo, Inoue, Yasui e Hayashi - e tra le quali veniva assegnato in tempi remoti, tramite accese partite, il titolo di "godokoro", una prestigiosa carica governativa che designa anche il miglior giocatore. Tra gli attuali titoli giapponesi di maggiore prestigio in ordine di importanza vi sono: kisei, meijin, honimbo, judan, tengen, oza e gosei.
Dopo il periodo Edo inizia per il go una profonda crisi, dovuta per lo più all'intensa industrializzazione e all'arrivo massiccio della cultura occidentale. La ripresa del gioco si ebbe con la nascita della International Go Federation (IGF), che sancisce anche la sua diffusione internazionale.
In Giappone sono nati i migliori giocatori di go ed è sempre qui che è possibile trovare il maggior numero di professionisti, 400 circa, su una popolazione di dieci milioni di giocatori appartenenti alla Nihon Ki In (Federazione Giapponese di Go), che a sua volta fa parte dell'IGF, così come tutte le federazioni nazionali. Poiché in Giappone i giocatori non perdono mai la posizione conseguita, ci sono oltre 100 professionisti col titolo di 9° dan. In tutto il mondo i giocatori di go sono circa 50 milioni. In Europa le nazioni più forti sono Olanda, Germania, Francia e Romania. L'Italia è ancora agli inizi.
Il momento di forte espansione del go in Occidente, avvenuto negli anni '60, è legato agli studi di psicologi e informatici in connessione alle teorie del qualitativo (riconoscimento della forma, topologia differenziale, sistemi dinamici e mutamenti di stato, teoria delle percezione etc.), problematiche tipiche di quella parte di ricerca chiamata successivamente intelligenza artificiale.
Ancora pochi credono che gli stranieri possano ambire ai titoli giapponesi più prestigiosi. In effetti, nel settembre 2000, il californiano Michael Redmond è stato il primo occidentale ad aver raggiunto il gradino di nono dan. Gli ci sono voluti 19 anni, quasi cinque solo per il passaggio da ottavo a nono dan. Redmond è sposato con Xianxian, una giocatrice di go cinese che ha conosciuto in Giappone, dove ora abita insieme alla famiglia. 

Sì, ma… cos’è?

Il Go, anticamente, era vissuto come un’arte marziale per la mente; possiamo cioè dire che la mente sta al Go come il corpo sta alle Arti Marziali. La mente viene dunque sottoposta ad una serie di sollecitazioni e di stimoli, che spingono a ricercare i propri limiti, per scoprire che il vero limite è sempre un po’ più in là.
Da un punto di vista tecnico il Go si presenta come un gioco di strategia che si pratica su un tavoliere (chiamato Goban) formato da 19 x 19 linee che vengono così a formare le 361 intersezioni sulle quali si vanno a deporre le pietre (Ishi) bianche o nere. All’inizio il Goban è completamente vuoto. Lo scopo è di “colonizzare” questo spazio, creando dei territori e usando le proprie pietre per disegnarne i confini; poiché la vittoria viene assegnata a chi totalizza la maggior estensione territoriale (sommando le dimensioni dei territori via via formatisi) è fatale che ad un certo punto avvenga un interazione tra i due giocatori, interazione che può risolversi nella possibilità di catturare pietre avversarie.
Parte del fascino di quest’arte risiede nel fatto che le pietre, una volta giocate, non possono più essere spostate (se non in caso di cattura, quando vengono definitivamente asportate dal Goban); in questo modo, alla fine della partita, resterà una traccia, quasi una mappa, dei nostri errori, dei nostri limiti, delle nostre felici intuizioni. Ma ciò che più affascina il praticante è il senso di assoluta irreparabilità della singola mossa, quando, dopo trenta o quaranta mosse, la pietra che avevamo giocato con sufficienza ci si rivela in tutta la sua travolgente dannosità. Dopo poche partite il principiante già si rende conto che ogni singola pietra deve essere giocata al massimo, che non c’è spazio per ragionamenti del tipo: “Vedremo dopo, intanto la metto qui”, “Per ora mi assicuro questi cinque punti, alle avventure ci penso dopo”.
All'inizio si ha un immenso territorio da colonizzare: bisogna pensare in grande e agire in grande, che non vuol dire in maniera dissennata; ecco, un altro aspetto particolarmente coinvolgente di questa arte-gioco è una continua tensione verso l’equilibrio, o meglio un continuo tentativo di superamento del dualismo in un principio di unità: il dualismo tra attacco e difesa, aggressività e dolcezza, coerenza ed elasticità, intuizione e raziocinio deve essere risolto nella singola mossa, che, nella sua ineluttabilità, deve riuscire a contenere la sintesi di pulsioni opposte. Fino a che, alla fine della partita, nel reciproco compenetrarsi di gruppi neri e bianchi, nell’armonia delle forme disegnate dalle pietre si può intravedere la risoluzione del dualismo iniziale tra i due giocatori, tra il nero e il bianco (che, a questo punto lo avrete capito, altro non rappresentano se non Yin e Yang).
Per meglio assaporare le implicazioni sottese al Go può essere utile un paragone col suo omologo occidentale: gli Scacchi.
Negli Scacchi i pezzi sono già disposti all’inizio della partita, e ogni pezzo agisce in modo diverso dagli altri. Nel Go si parte con il campo completamente vuoto: la difficoltà più grande del principiante sarà proprio quella di dover imparare a padroneggiare questo immenso spazio vuoto. In effetti, senza offesa per carità, gli angusti spazi di una scacchiera possono avere un che di rassicurante. Sul Goban bisogna imparare a vedere le potenzialità insite negli spazi vuoti, bisogna familiarizzare col concetto stesso di vuoto per riuscire a riempirlo in maniera corretta, per riuscire a vedere in esso meandri e vicoli ancora da costruire. In questo immenso spazio, poi ci si può muovere con agilità e scioltezza: può sembrare strano, visto che le pietre non si muovono, eppure durante una partita si vedono in continuazione fughe, scivolamenti, rincorse, invasioni, indietreggiamenti, penetrazioni, affondi, parate….
Le pietre poi sono tutte uguali, e l’unico valore che avranno sarà quello che noi sapremo dare loro, relazionandole correttamente alle altre ed al vuoto intorno ad esse.
Negli Scacchi la vittoria si raggiunge con la cattura del Re avversario. Nel Go è possibile terminare una partita senza che ci sia stata una sola cattura e l’obiettivo non è l’annientamento del nemico, ma riuscire a fare almeno un punto in più dell’avversario. Certo, vi sono anche delle situazioni in cui bisogna combattere ed è interessante notare quanto l’emotivo si faccia coinvolgere in lotte cruente dove la posta in gioco è la vita di un gruppettino di 5 o 6 pietre; ma vi assicuro che in quel momento quel gruppettino per voi sarà tutto il vostro mondo, e vederlo morire sarebbe come perdere un pezzo di voi.

Ed in effetti un po’ è così, perché alla fine apprendere l’arte del Go è un po’ come apprendere un nuovo linguaggio, grazie al quale possiamo esprimerci e manifestare noi stessi nel mondo.
Prima di poter giungere a questo, però, bisogna impararne la grammatica, la sintassi ed alcune regole formali: non si può pensare di apprezzare una poesia di Schiller dopo la prima lezione di tedesco, figurarsi comporne una!
All’inizio (se non ce ne si innamora subito) il Go è fatica: un giocatore una volta si espresse così: “All’inizio è come essere bendati in una stanza buia, senza finestre, nel deserto, in una notte senza luna: anche dopo che ti levi la benda scopri che non riesci a vedere niente e quando finalmente riesci ad accendere un cerino ti accorgi solo di quanto buio c’è ancora intorno”. Se però riuscite ad andare oltre le frustrazioni iniziali, oltre ai: “Questo non te lo posso ancora spiegare, fidati” (perché l’unica lingua in cui spiegarlo è proprio quella che state apprendendo), oltre al sentirsi dei perfetti imbecilli per non aver visto cose che troppo tardi appaiono in tutta la loro fragorosa chiarezza, allora penetrerete in un mondo regolato dall’armonia e dalla bellezza. Sì, perché una volta superata una certa soglia di comprensione, si coglieranno anche le regole dell’estetica goistica e si potrà riconoscere e gustare una bella forma, fino a che la vostra mossa diventerà la perfetta sintesi tra ragionamento logico ed intuizione estetica.
Per la ricchezza e la complessità delle situazioni che presenta molti hanno visto nel Go un’elegante ed affascinante metafora della vita; d’altronde c’è anche chi ha visto nella vita un’elegante ed affascinante metafora del Go!



Come si gioca 

Nell'arco della sua esistenza il gioco del go ha subito poche variazioni per quel che concerne il sistema di regole, per lo più dettate dal buon senso. Nel 1949 la Nihon Ki In, la federazione di gioco go, stabilì quelle che divennero le regole ufficiali e che comprendevano tutti i casi possibili.
Purtroppo la comprensione di questo articolato sistema di ipotesi possibili richiede un'alta preparazione tecnica e mnemonica. Naturalmente esistono tutt'ora diverse tipologie di gioco, ad esempio i cinesi adottano un sistema di regole del tutto diverso da quello giapponese definibile "assiomatico": rigoroso, ma puramente astratto. Nonostante questo, i fondamenti di gioco che ci accingiamo a descrivere sono comuni ad entrambi i sistemi e permettono di giocare tranquillamente una partita di go.
Si tenga presente che a tutt'oggi non esiste un regolamento ufficiale che possa stabilire definitivamente un sistema di regole univoco e questo proposto non può essere preso come tale, ma semplicemente come un insieme di osservazioni ed accorgimenti. 

Materiale di gioco. A go si gioca su una tavola (goban) con linee (19 per 19) che si intersecano formando intersezioni (361) tutte ad angoli retti. Le intersezioni corrispondono, secondo Zhang Ni, ai giorni dell'anno (l'anno solare cinese era formato da dodici mesi di trenta giorni). Tra queste intersezioni ne esistono alcune denominate hoshi (stelle), che rappresentano posizioni di "vantaggio" rispetto tutte le altre intersezioni. Esistono, ad uso didattico, goban di diverse dimensioni, ma quella standard è grande 45 per 42 cm.
Le pedine utilizzate nel gioco non hanno caratteristiche differenzianti ma sono tutte uguali, sia esteticamente che quando deposte (giocate) sul goban; hanno un diametro di 1,2 cm e uno spessore variabile. Si gioca con due tipi di pedine (o pietre) differenziate in base al colore (normalmente bianche e nere) in numero teoricamente illimitato (normalmente 181 nere e 180 bianche). Il numero delle pedine non è in alcun modo collegato al numero di mosse per una partita.
Il goban è rettangolare, cioè le linee verticali distano tra loro meno delle orizzontali, per compensare la prospettiva. Le pietre nere sono leggermente più grandi delle bianche, ciò per compensare l'effetto ottico che fa vedere un oggetto bianco più grande di uno nero avente le medesime proprozioni.
All'inizio di una partita il goban è libero da qualsiasi pedina, a meno di vantaggi che sono stabiliti in base alla differenza del grado tra giocatori. 

Meccanica di gioco. I giocatori si alternano posando una pedina per volta in una determinata intersezione libera (in cui non vi sono altre pedine proprie o dell'avversario) che da quel momento sarà, e lo sarà per sempre, del giocatore che l'ha "conquistata". Questo a meno che tale pedina non sia mangiata o ritirata a termine del gioco perché definita "morta", come vedremo più avanti. La prima mossa è sempre per il giocatore nero.
Posare una pedina in una determinata intersezione vuol dire non poterla più muovere, tranne che in caso di cattura da parte dell'avversario. Se non si è in condizioni di eseguire alcuna mossa (possibilità remota ma fattibile), si ha la possibilità di passare all'avversario. Questa pratica non ha alcuna utilità salvo quella di comunicare all'avversario, in modo implicito, che si considera la partita giunta ad un stadio terminale.
Il modo corretto di chiudere una partita è eseguire una mossa (non muovere è pur sempre una mossa possibile) di "passo" ed attendere che il proprio avversario faccia altrettanto. Terminata la partita, si passa alla fase di conteggio dei punti e si stabilisce chi ha vinto oppure se la partita è patta. 

Scopo del gioco. Go in giapponese significa assediare, circondare. Scopo del gioco è occupare, creare, circondare territori, delimitandoli con proprie pedine. Quello che si fa è costruire confini. Vince colui che, alla fine della partita, avrà acquisito più spazio (la dimensione complessiva è data dal numero di intersezioni libere all'interno dei territori).
Esiste inoltre la possibilità di catturare pedine avversarie, qualora si riesca a isolarle e a impedire loro di formare del territorio. Tali catture influenzano il risultato in quanto al termine della partita le pietre catturate vengono collocate nei territori avversari limitandone così le dimensioni.
Lo scopo del gioco è costruire. Il go rappresenta il modo orientale di intendere la competizione: la vittoria non si identifica, come nei giochi occidentali, con la distruzione dell'avversario (vedi dama e scacchi). Le regole del go premiano maggiormente la costruzione dei territori che la cattura. E' un gioco di compromessi, in cui si accetta l'esistenza dell'avversario e la sua crescita. Ci si può anche compiacere che l'avversario abbia territori grandi e tanti punti. Quello che importa è avere anche solo un punto in più. Zhang Ni affermava che "si possono anche perdere numerose pedine purché non si perda l'iniziativa". 

Regolamento. Vita: una pedina è definita viva se presenta una o più libertà; una catena di pedine (determinata da pedine dello stesso colore poste su intersezioni adiacenti orizzontalmente o verticalmente ma non diagonalmente) è definita viva nel momento in cui presenta due libertà divise, all'interno della propria catena, da una pedina della stessa (tali libertà sono anche dette "occhi" della catena).
Cattura: quando una pedina termina le sue libertà (le intersezioni libere che circondano l'intersezione su cui è posta, che ha conquistato) questa pedina è ritirata dal gioco dal giocatore che ha giocato nell'ultima libertà disponibile della pedina; la regola vale anche per catene di pedine; non è possibile giocare in modo da essere automaticamente catturati (non è possibile "suicidare" una pedina).
Cattura multipla: una catena di più pedine con un'unica libertà disponibile (anch'essa fosse al centro e quindi circondata da altre pedine bianche che la farebbero suicidare) può essere catturata da una pedina; difatti, dopo la cattura, la pedina che si era posta in suicidio avrà più libertà a sua disposizione; tale tecnica è definita, in modo figurato, paracadutaggio.
Mosse cicliche (ko): non è possibile giocare una pedina che catturi creando, di fatto, una ripetizione infinita; la cattura ciclica di pedine avversarie, oltre a non avere senso in quanto il gioco non consiste propriamente in questo (la cattura è solo un mezzo), rende impossibile determinare la fine della partita. 

Fine partita. Il termine di una partita è stabilito quando entrambi i giocatori dichiarano "passo" consecutivamente (determinare quando il proprio territorio e quello dell'avversario sia stabile e quindi non soggetto ad invasioni è di difficile applicazione per un principiante). I passi da compiere prima del termine della partita sono i seguenti (pre-chiusura): 
· Acquisizione dei territori incerti tra i giocatori. Le zone definibili di "frontiera" sono in pratica le chiusure logiche di una zona. Si gioca per guadagnare anche solo un punto che influirà sul punteggio finale. 
· Le zone restate neutre tra due aree sotto il controllo dei rispettivi giocatori, vengono occupate alternando la giocata di pedine necessarie alla chiusura di tali zone. 
La chiusura effettiva avviene, poi, con il doppio passaggio. Vengono eliminate dal gioco le pedine che sono in una zona di dominio dell'avversario e tali pedine vengono considerate alla strenua di quelle catturate in partita. In fase di conteggio, si sommano i territori liberi all'interno di zone controllate dal giocatore alle pedine che ha catturato in tutta la partita. Il totale dà il suo punteggio partita. Confrontando i punteggi, si ottiene il vincitore: colui che possiede il punteggio più alto. 


L'uomo batte la macchina 

Dove ancora per molti anni non si vedranno cambiamenti è nello scontro tra uomo e macchina. Mentre i computer sono ormai in grado di battere gli umani nel gioco degli scacchi, ciò non accade con il go. Deep Blue di IBM ha battuto il campione del mondo di scacchi Garry Kasparov grazie alla sua pura potenza di calcolo: 200 milioni di posizioni al secondo che gli permettono di essere dalle 14 alle 45 mosse avanti rispetto a un uomo.
La complessità del go è superiore di parecchi ordini di grandezza. Il numero stimato di possibili configurazioni sulla scacchiera è 10 alla 120esima potenza, mentre per il go si arriva a 10 alla 761esima potenza ("Omni", giugno 1991). Nel go, ad ogni mossa, ci si trova mediamente davanti a oltre 250 possibili scelte, mentre negli scacchi sono 25. L'algoritmo di Deep Blue permette di ottenere le 5-6 migliori scelte, per quanto riguarda gli scacchi. Se, per quanto riguarda il go, riuscisse a ottenere anche solo le 15-16 migliori scelte (ma più probabilmente dovremmo parlare di 50-60), ci vorrebbero 70 anni per ottenere con il go gli stessi risultati che in 3 minuti può dare con gli scacchi. Al calcolo delle mosse, si aggiunge nel go il calcolo del valore della posizione finale.
Per quindici anni, fino alla fine del 2000, la Ing Chang-ki Wei-Chi Educational Foundation di Taipei (Taiwan) ha offerto 1,6 milioni di dollari a chi fosse riuscito a produrre un software per il go in grado di battere un professionista. Inutile dire che nessuno si è presentato a ritirare il premio. Sono in molti a sperare che il bando sia esteso per un altro secolo almeno. Nel mondo informatico, quella che viene chiamata intelligenza artificiale è ancora di là da venire.
Questa complessità vale anche per gli uomini: un campione di go conosce del suo gioco meno di quanto un campione di scacchi conosca del proprio. Inoltre, è più difficile capire quali siano le mosse più grossolane o, stessa cosa, le migliori: mentre negli scacchi le buone mosse sono soltanto due o tre, nel go possono essere alcune decine.
Negli scacchi la tattica è fondamentale. Richard Teichmann (1868-1925), uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, ha affermato che "gli scacchi sono al 99% tattica". Nel go serve invece la strategia, ma forse bisognerebbe chiamarla istinto, intuizione. Al contrario degli scacchi, che utilizzano quasi esclusivamente la funzione analitica del cervello (emisfero sinistro), il go utilizza anche la funzione "artistica" (emisfero destro).


Nella sezione download trovate  go.zip 297kbytes e goRegole.zip 76kbytes contenenti un programma e un pdf con il riassunto delle regole.

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